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Prime Esperienze

Letteratura Latina: Lydia Atto 6


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
16.05.2025    |    168    |    1 9.2
"Al calar del sole, quando le strade si tingevano di ombre, si appostarono dietro il Lupanare, nascosti tra i vicoli dove l’odore di vino versato si..."
Il sole di Pompei volgeva al tramonto, tingendo le strade selciate di un manto di porpora, mentre l’aria, densa di pane caldo, salsedine e sudore, si caricava di un presagio oscuro. Il Vesuvio, gigante silente, vegliava sulla città, il suo respiro trattenuto come un segreto pronto a esplodere. Nel Lupanare, cuore pulsante di desideri carnali, le mura screpolate sussurravano storie di piacere e dolore, illuminate dagli affreschi di Venere che cavalcava amanti alati e Priapo dal fallo svettante. Lysander, il giovinetto dai capelli d’oro, tornò alla locanda dove Gaius lo attendeva, il volto pallido come marmo, l’anima segnata dalla violenza del lenone. Con voce tremula, raccontò l’incontro con Lydia, omettendo solo il caldo seme che aveva riversato nel suo grembo. “Ho consegnato il messaggio, mio signore,” disse, gli occhi come olive mature che evitavano lo sguardo di Gaius. “Lydia ti aspetta al tramonto, dietro il Lupanare.” Parlò della crudeltà del lenone, della sua verga che aveva violato il suo fiore nascosto, del disprezzo che aveva marchiato lui e Lydia. Gaius, il cuore un braciere di furia e amore, strinse il pugno, la collana di corallo rosso che aveva donato alla sua greca un giuramento che lo legava a un destino di riscatto. “Stasera, Lysander, la porteremo via,” giurò, il piano chiaro come una lama: approfittare del crepuscolo, quando il Lupanare si svuotava, per rapire Lydia e fuggire verso Neapolis.
Lysander, combattuto tra la gelosia e la pietà, annuì, il desiderio di compiacere Gaius che lo teneva avvinto come un laccio. La crudeltà del lenone aveva spezzato il suo piano di tradimento, e il ricordo di Lydia, un fiore calpestato ma luminoso, lo spingeva a onorare la promessa. Mentre il sole si spegneva, Gaius si preparò, la lorica segmentata lasciata da parte, la tunica che aderiva al corpo muscoloso, una spada corta nascosta sotto il mantello. Lysander, il suo corpo esile avvolto in una tunica leggera, lo seguì, un’ombra fedele pronta a rischiare tutto per il suo dio. Al calar del sole, quando le strade si tingevano di ombre, si appostarono dietro il Lupanare, nascosti tra i vicoli dove l’odore di vino versato si mescolava al fumo delle torce. Ma Lydia non era sola. Dalla cella filtravano gemiti e grida, il suono della carne che si univa, un inno osceno che squarciava il silenzio. Due clienti, marinai dai volti bruciati dal sole, la possedevano con furia, le loro verghe che affondavano nel giardino di Venere e nel fiore nascosto, un lago di nettare e un porto stretto che si aprivano sotto i loro assalti. Lydia, il corpo un’arpa dalle corde spezzate, gemeva, un suono studiato ma vivo, il seno che tremava, il sudore che le colava come un ruscello tra i frutti maturi.
Gaius, dall’ombra, strinse i denti, la furia che gli ribolliva come lava. Lysander, al suo fianco, posò una mano sul suo braccio, un gesto che era conforto e supplica. Ma il destino, tessitore capriccioso, intervenne. Un boato squarciò il cielo, un tuono che fece tremare la terra, e un fumo denso, nero come la pece, si innalzò dal Vesuvio, un drago che sputava la sua collera. Pompei si trasformò in un caos di urla, i viandanti che correvano, i carretti che si ribaltavano, le donne che invocavano gli dèi. I clienti di Lydia, seminudi, le tuniche strette al petto, si precipitarono fuori, il terrore che spegneva il loro ardore. Gaius colse l’occasione, il cuore che galoppava come un destriero. “Ora!” ordinò, e con Lysander al seguito si lanciò verso l’ingresso del Lupanare, la spada sguainata come un raggio di luna.
All’interno, il lenone, lupo famelico, era in piedi, il volto scavato dalla rabbia, una frusta in mano pronta a colpire Lydia per la fuga dei clienti. Gaius lo affrontò, un toro che carica, i due uomini si scontrarono, il lenone che rotolava a terra, la testa che sbatteva contro uno spigolo, il sangue che colava come vino versato. Lysander, rapido come un fauno, corse verso la cella di Lydia, trovandola raggomitolata sul letto, la tunica azzurra lacera, il corpo tremante ma gli occhi zaffiro accesi di speranza. “Gaius,” sussurrò, e lui, con un gesto rapido, la prese in braccio, il suo calore un faro nella tempesta. Insieme, fuggirono dal retro, dove un carretto rubato li attendeva, i cavalli che scalpitavano sotto la pioggia di lapilli che cominciava a cadere, minuscole frecce di fuoco che bruciavano la pelle.
Guidati da Gaius, galopparono verso Neapolis, il cielo che si faceva nero come l’ade, un manto di cenere che soffocava la luce. Dopo due ore di corsa sfrenata, superarono Neapolis, il fumo del Vesuvio un’ombra lontana. Esausti, si fermarono in una taverna ai margini di una strada polverosa, il locandiere che li accolse con sospetto ma accettò le loro monete. Trovarono una stanza angusta, un letto di paglia e una lucerna fumosa che gettava ombre tremule. Gaius, il cuore un tamburo di guerra, chiuse la porta e si volse verso Lydia, il desiderio che gli bruciava i lombi. La abbracciò, le labbra che cercavano le sue, un bacio che era vortice di calore, le lingue che si intrecciavano come fili di un arazzo. Le sue mani, callose ma gentili, accarezzarono il seno di Lydia, due frutti maturi che si ergevano sotto il tocco, i capezzoli duri come perle. Scivolò più in basso, le dita che sfioravano il giardino di Venere, un lago di nettare che gocciolava di desiderio, facendola trasalire, un gemito che era canto e supplica.
Lysander, in un angolo, osservava, il cuore morso da gelosia ma il corpo acceso di desiderio. Lydia, con un sorriso che era miele e sfida, gli fece cenno di avvicinarsi. Quando fu vicino, la sua mano morbida slacciò la tunica del giovinetto, trovando la giovane verga, un’asta di bronzo tesa come una lancia. La massaggiò con lentezza, le dita che pizzicavano corde di piacere, un ritmo che strappava gemiti a Lysander. Gaius, inginocchiato, leccava il giardino di Lydia, la lingua che danzava come un’onda sulla scogliera, assaporando il nettare dolce che le colava tra le cosce. Ogni carezza era un tuono, il corpo di Lydia che si inarcava, il seno che tremava, il sudore che le brillava sulla pelle olivastra. Lysander, travolto, gemette, la verga che pulsava sotto il tocco di Lydia, e Gaius, eccitato dalla scena, si alzò, le mani che esploravano il corpo del giovinetto. Le sue dita, unte d’olio, penetrarono il fiore nascosto di Lysander, un porto stretto che si apriva con un suono bagnato, strappandogli un rantolo di piacere. Ogni movimento era un’onda, il corpo di Lysander che si piegava, il desiderio che lo travolgeva come una tempesta.
Gaius, con un ringhio che era fame e venerazione, aprì le cosce di Lydia, il giardino di Venere che lo chiamava come un tempio. La penetrò con un affondo deciso, la possente verga che scivolava nel caldo antro, un inno osceno che riempiva la stanza. Ogni colpo era un tuono, il letto che gemeva sotto il loro peso, il seno di Lydia che tremava, il sudore che le colava come un ruscello. Lydia, con un movimento rapido, si posizionò sotto Lysander, la bocca calda che accoglieva le sue palle, la lingua che lambiva con dolcezza, un bacio che era adorazione. Lysander gemette, un suono che era tempesta e naufragio, il corpo teso come un arco. Gaius, preso dall’eccitazione, si chinò a baciare il giovinetto, le loro lingue che si intrecciavano, un vortice di calore che li univa. Poi, con un gesto selvaggio, uscì da Lydia e fece distendere Lysander sopra di lei, il corpo esile che si adattava come un guanto. La possente verga di Gaius affondò nel fiore nascosto del giovinetto, un porto stretto che lo accoglieva con un calore che era tempesta. Ogni affondo era un maglio, il ritmo che accelerava, il suono della carne che si apriva un canto primordiale. Lysander, travolto, sentì la sua verga pulsare, e Lydia, con un sorriso malizioso, la guidò nel suo giardino di Venere, un lago di nettare che lo stringeva come seta.
Il giovinetto, felice di essere preso con forza, gemette, il piacere che montava come un vulcano. Dopo pochi colpi, la sua verga esplose, riversando un ruscello bollente nel grembo di Lydia, un’offerta che la scaldava dall’interno. Gaius, guardandolo, sorrise, il cuore che batteva di complicità, e continuò a pomparlo, ogni affondo un tuono che scuoteva il letto. Poi, con un gesto che era comando e desiderio, fece scostare Lysander e chiese a Lydia di mettersi a novanta, “la mia cagnolina adorata,” mormorò. La penetrò nel fiore nascosto, un porto stretto lubrificato dall’olio, con una furia che era conquista e devozione. Ogni colpo era un fulmine, il corpo di Lydia che si inarcava, i gemiti che si mescolavano al crepitio della lucerna. Lysander, inginocchiato, leccò il giardino di Venere, la lingua che ripuliva il seme di Lysander, un rito di venerazione che accendeva il piacere di Lydia. Il primo orgasmo la travolse, un vulcano che squarciò il silenzio, il corpo che tremava come un giunco sotto la pioggia. Un secondo la seguì, un’onda che la scosse fino all’anima, i gemiti che si perdevano nella notte.
Gaius, il piacere che montava come una tempesta, raggiunse il culmine, riversando il suo caldo seme nel fiore nascosto di Lydia, un ruscello bollente che la riempì, un’offerta agli dèi dell’amore. Ansimante, si ritrasse, e Lydia, con un movimento lento, si scostò. Gaius, con un sorriso che era miele e sfida, offrì la verga a Lysander, ancora pulsante, sporca di seme e umori. Il giovinetto la accolse nella bocca calda, la lingua che danzava, un bacio che era gratitudine e rito, pulendo ogni traccia con una dolcezza che era adorazione. Il sapore salato, misto al calore di Lydia, gli riempiva i sensi, un nettare che parlava di unione.
Esausti, si distesero sul letto, i corpi intrecciati come edera, il sudore che li univa come un patto antico. Gaius, con Lydia al suo fianco e Lysander accoccolato contro di lui, sentì una pace che non aveva mai conosciuto. La cenere del Vesuvio, lontana, non poteva toccarli, e il destino, tessitore capriccioso, aveva tessuto un filo nuovo. Da quella notte, una complicità profonda nacque tra loro, un legame che li avrebbe tenuti avvinti, un triumvirato di carne e anima che nessuna tempesta avrebbe spezzato. Pompei, sepolta sotto un manto di cenere, divenne un ricordo, mentre loro, sotto un cielo stellato, costruivano un futuro di libertà e amore.

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